La Messa è il sacramento della redenzione
Accogli, Signore, l'offerta del nostro sacrificio, perché rinnovati nello spirito possiamo rispondere sempre meglio all'opera della tua redenzione. Per Cristo nostro Signore.
Orazione sulle offerte
Gesù, nel Giovedì santo, ci ha donato il sacramento dell'Eucaristia quale mezzo con cui partecipare in modo attivo e fecondo alla sua redenzione e con lui attingere ai beni spirituali e temporali che ci appartengono (LG 3; EE 11; EE 12; CCC 1382).
Il profeta Isaia, che è vissuto sette secoli prima della nascita terrena di Gesù, ebbe la visione della morte in croce di Gesù. Vide ciò che Gesù avrebbe fatto per gli uomini e, a ragione, si chiedeva quanto, la gente del suo tempo, come pure tutti gli altri che avrebbero vissuto fino alla fine dei tempi, avrebbero creduto a ciò che aveva visto circa il sacrificio redentore di Gesù (Is 53,1;4-5). Si chiedeva quanti fedeli avrebbero preso possesso dei beni spirituali e materiali loro destinati grazie all’immolazione di Gesù e grazie alla Santa Messa.
E purtroppo la risposta è: troppo pochi. Per molti cristiani Gesù ha sofferto inutilmente. Nessuno li ha aiutati a comprendere come partecipare attivamente e fruttuosamente alla celebrazione della sua passione, morte e resurrezione. Se 2000 anni fa “Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti” (Lc 6, 19), perché questo non dovrebbe avvenire più spesso?
L'uomo nel piano di Dio
Risulta difficile comprendere il sacrificio eucaristico mediante il quale partecipiamo alla redenzione di Cristo se non capiamo il piano che Dio ha per l'uomo (CCC 280).
Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, lo ha incoronato di gloria e splendore, gli ha dato potere sulla terra (Gn 1,26; Sal 8,6-9), gli ha dato vita in abbondanza. Ha creato l'uomo per potere condividere con lui amore e rispetto, per permettergli di partecipare alla sua creazione, alla cura e al governo del mondo, per godere della gioia di vivere.
Nel paradiso terrestre, Adamo godeva della presenza di Dio e aveva dei compiti da svolgere, per l’espletamento dei quali Dio gli aveva dato autorità, forza, conoscenza e saggezza; egli viveva la vita in abbondanza. Nell'eternità, nel paradiso, godremo ancora di più della presenza di Dio e, ne sono profondamente convinto, servendolo nei compiti che ci affiderà nel suo regno, godremo dell'abbondanza della vita.
Ogni uomo è pensato e creato come un essere eterno e nessun uomo potrà mai cessare di esserlo. Sin dall'inizio, Dio ci ha donato incredibili possibilità che superano la nostra conoscenza. Ce le ha donate non solo per questa vita terrena bensì per tutta l'eternità (CCC 1029). Nel profondo della nostra anima Dio ha posto ciò che aveva donato ad Adamo. Nella Bibbiasta scritto che siamo stati prodigiosamente creati a immagine e somiglianza di Dio.
L'apice di questo prodigio è l'amore, che si manifesta più chiaramente nella volontà di donare la propria vita per gli altri, nella decisione consapevole di soffrire e addirittura morire per salvare la vita a qualcuno - terrena e/o eterna (Gv 15,13). Alcuni riconoscono questa disposizione d'animo soltanto quando si trovano in determinate situazioni. Ad esempio: una mamma in stato di gravidanza avanzato che, per qualche malattia incurabile, deve decidere se sopravvivere lei o far vivere il bambino che porta in grembo; un uomo che è pronto a mettere a rischio la propria vita per salvare qualcuno che si è trovato improvvisamente in qualche pericolo; una nuora che deve prendersi cura della suocera con la quale non è in buoni rapporti, e che a seguito di una malattia è improvvisamente condannata ad una lunga degenza, immobile a letto.
Questa possibilità di amare come Gesù, che è stata impressa in noi al momento della creazione, non ci rende forse dei prodigi?
Dio ci ha dato il suo Spirito affinché con il suo aiuto scoprissimo ciò che ci ha donato mettendoci al mondo (1 Cor 2,12). Un ottimo esempio è quello di Santa Madre Teresa di Calcutta: prima di dedicarsi ai moribondi sulle strade di Calcutta, era una religiosa illustre e una professoressa altamente istruita. Alcune sue alunne si prendevano cura come potevano di questi poveretti e raccontarono a suor Teresa ciò che accadeva per le strade, ma l'idea che lei potesse unirsi a loro le era del tutto estranea; non si sentiva né capace né chiamata a fare questo. Allora, non sapeva ancora nel suo cuore che ogni uomo (e perciò anche lei) è creato come un prodigio, con la capacità e la volontà di compiere anche i più grandi sacrifici in nome dell'amore per il prossimo. Per grazia dello Spirito, ad un certo momento divenne consapevole di tale verità e da allora la sua vita acquistò un nuovo significato.
Uno dei motivi essenziali per i quali abbiamo ricevuto lo Spirito Santo è quello di svelarci la verità sulla dignità di ogni essere umano creato a immagine di Dio (1 Cor 2,12).
Nel giardino dell'Eden (il paradiso terrestre) c'erano molti alberi e al centro del giardino se ne trovavano due in particolare: l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male. L'uomo poteva cibarsi di ogni albero del giardino eccetto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Dio gli pose questo divieto avvisandolo che il giorno in cui avesse violato questo comandamento, sarebbe morto (Gn 2,15–17). Adamo sapeva dunque che disubbidire a Dio era male, ma conobbe il male nel vero senso della parola solo quando lo sperimentò, ossia quando lo commise.
Dobbiamo presumere che Dio avesse spiegato ad Adamo cosa significasse morire; altrimenti il suo castigo sarebbe stato ingiusto. Adamo non aveva sperimentato la morte e per questo doveva credere che la morte fosse esattamente come Dio l'aveva descritta. Adamo non aveva sperimentato nemmeno il giudizio di Dio, perciò doveva credere che Dio, data la sua giustizia e imparzialità, avrebbe portato a compimento una così terribile minaccia, nonostante lo conoscesse come un Padre infinitamente buono. Adamo doveva avere timore di Dio, doveva sapere che Dio mantiene la sua parola. Fintanto che Adamo ha creduto in Dio, è stato salvo, ha vissuto senza peccati e godeva della vita eterna.
Noi, che siamo nati da Adamo ed Eva, non conosciamo la vita eterna e per questo dobbiamo credere alla Parola di Dio che ci dice che ogni uomo vivrà in eterno, che si tratti del Paradiso o dell'Inferno. Parimenti, dobbiamo credergli quando dice che sarà un giudice giusto e imparziale e che data la sua giustizia e imparzialità molti saranno condannati all'inferno, ad un'eternità dove al posto dell'abbondanza di vita ci sarà sofferenza eterna.
Dio vedeva nel cuore di Adamo ogni qual volta Adamo, con la sua libera volontà, resisteva all'albero proibito che lo tentava, perché era gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza, e teneva in gran considerazione il suo sforzo. Adamo veniva tentato ogni giorno poiché l'albero proibito si trovava al centro del giardino, al centro della sua attenzione, proprio come l'albero della vita, per mezzo del quale poteva cibarsi di vita. La nostra coscienza funziona allo stesso modo: ci troviamo continuamente in situazioni in cui dobbiamo scegliere di fare il bene e decidere di evitare di fare il male (CCC 1776-1802). Anche noi siamo spesso tentati da qualche albero allettante il cui frutto può, lentamente o velocemente, uccidere la nostra fede e il nostro desiderio di vita eterna.
Ciò che Dio ha desiderato per Adamo ed Eva, lo desidera per ogni uomo: desidera che comprendiamo seriamente le sue parole, desidera che diventino per noi importanti, che siano per noi sante, che si creda ad esse senza riserve. Dio desidera che scriviamo le sue parole nel cuore, poiché solo così possiamo vivere nell'amore, nella pace e nella giustizia, solo in tal modo possiamo renderci degni di essere figli di Dio (CCC 1780-1782). Spesso obbedire non è assolutamente semplice e proprio per questo Dio ci onorerà (Gv 12,26).
Perché Dio ha lasciato che Adamo peccasse
Ma allora, perché Dio lascia che pecchiamo? Senza la libera volontà, senza la possibilità di peccare, di scegliere da soli tra il bene e il male, saremmo esattamente come dei robot. Non potremmo mostrare rispetto a Dio né ad altri, saremmo privi di dignità. In cielo, nel regno eterno di Dio, tutti i salvati saranno santi, ma non tutti avranno uguale dignità.
Da soli non avremmo potuto scegliere quando, dove e come saremmo nati a questa vita terrena, ma è con le nostre scelte di vita, con la nostra libera volontà che scegliamo il nostro status di eternità. Da soli possiamo decidere costantemente di osservare l'amore, il rispetto, il perdono e di agire per il bene. Da soli valutiamo quanto siamo pronti a sacrificarci. Da soli decidiamo se desideriamo procedere nel bene, cambiare noi stessi, crescere nella grazia e nella saggezza. Tale libertà di scelta ci è stata data affinché ognuno di noi potesse guadagnarsi la sua eternità in modo perfettamente equo e imparziale e potesse costruire la sua dignità eterna. Ogni buona azione, anche la più insignificante, come dare un bicchiere d'acqua a un discepolo di Cristo assetato, ha un impatto considerevole sull'eternità (Mt 10,42; Mc 9,41). Perciò, in questa nostra breve vita, cerchiamo di raccogliere il maggior numero possibile di tesori inesauribili per l'eternità (Lc 6,23; Lc 6,35).
Adamo ed Eva amavano Dio, ma ancora di più amavano se stessi e per questo non lo hanno rispettato fino in fondo, per questo non gli hanno creduto fino in fondo, non hanno avuto sufficiente timore di Dio (Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23; Gv 12,25). Un giorno, nel loro rapporto con il Creatore, si è immischiato Satana. Adamo ed Eva prestavano troppa attenzione a lui e all'albero proibito e lui approfittò dell'occasione: li indusse a desiderare ciò che non spettava loro e a commettere peccato. Prestarono fede al serpente che insinuava che Dio fosse bugiardo e decisero di innalzarsi e mettersi allo stesso livello di Dio. Desideravano vivere in modo tale da non dipendere più da Dio e da non dover vivere stando alle sue regole. Desideravano godere della vita ancora di più. Vi suona familiare? Hanno peccato e hanno calpestato la loro dignità. L'accesso all'albero della vita è stato loro precluso e sono stati cacciati dal paradiso. Lo smarrimento della grazia li ha resi inclini al peccato, al terrore, all'inquietudine, ai dolori e alle malattie e alla morte corporale e, ciò che è peggio, l'inferno li attendeva per l'eternità. Tutto ciò non sarebbe accaduto se avessero amato Dio più di loro stessi, se gli fossero stati grati, se lo avessero rispettato e ne avessero avuto timore.
Satana, il reale padrone di coloro che appartengono al mondo piuttosto che a Dio, adotta ancora la stessa tattica e tale lotta è ancora in corso (1 Gv 5,19; Ef 6,10-20).
Adamo, esiliato, non bramava né la salute né il benessere, né ciò che in questa nostra vita terrena ci reca soddisfazione, poiché tutto ciò era nulla in confronto a quello che aveva in paradiso. Era grato di tutto, ma sopra ogni cosa desiderava Dio, l'amicizia con lui, tutte quelle cose che faceva quando era in paradiso. Bramava quell'incredibile e considerevole dignità che aveva perso.
Da Adamo ed Eva sono trascorse molte generazioni, l'uomo continua a nascere con la sensazione di essere stato respinto da Dio. Nasciamo, viviamo e moriamo in un mondo profondamente ingiusto. Nel profondo del cuore desideriamo la pace e la dignità di figli di Dio che Adamo aveva in paradiso e che in molti assaporiamo quando ci troviamo alla presenza di Dio, quando dimoriamo in lui. Più profondamente entriamo in Dio, più siamo consapevoli di tale anelito. Il mondo, il corpo e il diavolo ci offrono la loro versione di felicità, pace e dignità, ci offrono la loro ricchezza di vita che possiamo avere solo se abbandoniamo Dio. E Dio, d'altra parte, ci offre la sua versione di vita piena sull'esempio della vita terrena di suo figlio, così come di tanti santi. Lui non ci promette la felicità esteriore (Gv 16,33), bensì una profonda felicità e pace interiori (Gal 5,22). Uno dei due ladroni crocifissi insieme a Gesù fissò il suo sguardo in Gesù morente e in sua madre ai piedi della croce; l'altro, negli uomini che lo insultavano. Uno ricevette il dono della fede in Gesù, l'altro continuò a credere nel mondo (Lc 23,39-43). Spetta a noi decidere su chi fissare il nostro sguardo, poiché è colui che guardiamo con maggiore attenzione che spesso riteniamo degno di fede.
Così sarà fino alla seconda venuta di Gesù.
La buona notizia
Adamo ed Eva erano certi di aver irrimediabilmente perso il paradiso. E sapevano molto bene ciò che avevano perso. Dio era consapevole che l'uomo avrebbe peccato e sarebbe morto, ma lasciò che questo accadesse comunque poiché aveva previsto la possibilità che l'uomo ottenesse dalla sua caduta un beneficio ancora più grande di quello che aveva prima di cadere in fallo (CCC 280, 302 e 412).
Dio annuncia il Vangelo anzitutto ad Adamo, gli proclama la possibilità di salvezza, la possibilità che, attraverso la fede nel sacrificio redentore del suo unico Figlio Gesù Cristo, possa nuovamente nascere alla vita che aveva perso (CCC 55 e 410). Dopo Adamo, Dio annuncia continuamente la stessa buona novella: ad Abramo, Mosè, Isaia e ad altri profeti... (At 10,43; 1 Pt 1,10-12; Is 53,1-12; Lc 2,25-38; Gv 8,56; CCC 522; PE IV).
Dio non aveva abbandonato completamente Adamo. Sebbene Adamo ed Eva fossero stati cacciati dal paradiso, continuarono a vivere alla presenza di Dio e a comunicare con lui (Gn 4,16). Riusciamo a immaginare Adamo nel momento in cui Dio gli ha annunciato che esisteva la possibilità di perdonare il suo peccato e che egli si poteva salvare, che poteva nuovamente nascere per il paradiso? (Gv 3,3) Per Adamo, il Vangelo, la chiamata a salvarsi dalla morte eterna ed essere nuovamente parte del regno di amore, giustizia e pace di Dio, rappresentava una notizia veramente buona e gioiosa. Era la migliore notizia che potesse sentire.
Dio comunicò ad Adamo che la sua colpa sarebbe stata assunta da qualcun altro. Qualcun altro avrebbe dovuto dare la vita di sua volontà affinché Adamo potesse essere perdonato e nascere a nuova vita (Is 53,12).
Quel qualcuno è Gesù, il Figlio di Dio. Sarà lui a prendere su di sé la colpa, a umiliarsi profondamente e diventare uomo; sarà lui a lasciare che lo disprezzino, lo respingano, lo condannino nonostante la sua innocenza, lo umilino e lo torturino orribilmente e alla fine lo uccidano sulla croce (Is 53,1-12).
Adamo avrebbe potuto accettarlo? Poteva, poiché era consapevole che Gesù avrebbe fatto tutto liberamente, mosso dall'ardente amore che aveva verso ogni uomo (Gv 3,16). Adamo poteva accettare che Gesù morisse al posto suo poiché Dio gli aveva spiegato che suo figlio non sarebbe rimasto nel sepolcro, bensì che il terzo giorno sarebbe resuscitato dai morti.
Adamo aveva peccato, e tutti coloro che nascono al mondo patiscono le conseguenze del suo peccato. Dato che non siamo personalmente responsabili di tale peccato originale di Adamo, Dio non ha voluto che espiassimo da soli la sua colpa, ma lui, da Se stesso, si è immolato per pagare il riscatto per tutti noi.
Nel momento in cui Adamo ha ricevuto l'offerta di salvezza di Dio, sicuramente è caduto con la faccia a terra in segno di profondo rimorso, gratitudine e adorazione!
Che cosa ha a che fare Adamo con la Messa?
Il sacrificio di Adamo non è segnalato in nessuna parte della Bibbia. Ciò che sappiamo con certezza è che Adamo, anche dopo essere stato cacciato dal paradiso terrestre, ha continuato a dialogare con Dio e che è stato lui ad insegnargli a offrire sacrifici. Possiamo verosimilmente concludere che Dio gli abbia spiegato il senso di tali sacrifici. Quindi, Dio ha promesso di fare la sua parte, e Adamo, in segno di perdono e riconciliazione, doveva fare altrettanto. Il primo uomo doveva offrire un sacrificio espiatorio per il suo peccato: immolare un animale senza difetti, riconoscere la sua colpa, chiedere perdono, prendere la testa dell'animale e porvi sopra le mani, ucciderlo e spargere il suo sangue. Ma tutto ciò non bastava. Adamo doveva credere che tale sacrificio fosse solo un segno (un simbolo), un vincolo spirituale con il sacrificio in cui, per il suo peccato, sarebbe stato ucciso Cristo, l'agnello di Dio senza difetti. Sono profondamente convinto che Adamo dovesse credere che attraverso tale rito partecipasse, a livello spirituale, al sacrificio del Figlio di Dio che sarebbe avvenuto nella pienezza dei tempi. Doveva credere che ponendo le mani sul capo dell'animale, nella realtà spirituale toccasse Cristo crocifisso e gli offrisse i peccati affinché lui li espiasse al suo posto.
Se Adamo non avesse creduto nel sacrificio di Gesù, non lo avrebbe salvato alcun olocausto, alcun rito. Adamo fu salvato poiché credeva che sacrificando un animale avrebbe partecipato realmente al sacrificio di Gesù, ne avrebbe preso parte in anticipo.
Se Gesù, nell'orto del Getsemani, avesse rifiutato di immolarsi, il peccato di Adamo non sarebbe stato perdonato, poiché il sangue degli animali non può lavare via i peccati. Gesù non si è sottratto al sacrificio e Adamo è stato salvato (Sir 49,16).
Molto importante da notare è il legame tra i sacrifici dell'Antico Testamento e il sacrificio di Gesù. Tale legame è rappresentato dalla fede. Coloro che offrivano olocausti in riparazione dei peccati dovevano credere che in tal modo partecipavano al sacrificio del Messia (del Cristo, dell'Unto dal Signore) perché il solo olocausto, a prescindere da quanto costasse loro sotto qualsiasi aspetto, non poteva redimere dai peccati. L’offerta dell’animale è sempre stata solo un rito esteriore che per mezzo della fede creava un legame con il sacrificio di Gesù Cristo. Essa era il mezzo tramite il quale gli uomini potevano prendere parte, più volte e in anticipo, al sacrificio di Gesù che sarebbe accaduto solo una volta nella storia.
Tale segreto rimase celato alla maggior parte delle genti dell'Antico Testamento poiché o non potevano o non volevano credere a ciò che Dio aveva loro annunciato per mezzo dei profeti. Nonostante ciò, Dio non disprezzava coloro i quali offrivano sacrifici espiatori con sincero rimorso ma che, per ignoranza, non credevano alla redenzione che sarebbe stata operata da Cristo. E nella pienezza dei tempi, mandò suo figlio affinché dopo la morte scendesse nello Sheol e, a coloro che attendevano la redenzione, predicasse la Buona Novella affinché credessero e per mezzo della fede fossero salvati (cfr. Credo apostolico: "... discese agli inferi...").
Che cosa ho a che fare io con la Messa?
Anche noi siamo chiamati a offrire il sacrificio di Gesù al Padre per la nostra redenzione e salvezza. L'Eucaristia è il mezzo che Gesù ha istituito per permettere anche a noi di partecipare più volte, in modo spirituale, sacramentale e concreto, al suo sacrificio, che si è compiuto una sola volta. Dunque, così come Adamo e le genti dell'Antico Testamento, ogni volta che offrivano gli animali, potevano partecipare al sacrificio di Cristo in anticipo, prima che esso accadesse realmente,così anche noi possiamo prendere parte allo stesso sacrificio tante volte, celebrando l'Eucaristia, dopo che esso è realmente avvenuto.
Come possiamo immaginarcelo? Mentre Gesù moriva sulla croce, il Padre osservava tutta la storia dell'umanità. Anche se tante volte, nel corso della nostra vita, offriamo il sacrificio eucaristico, e con diverse intenzioni, Dio aveva già visto tutti i nostri atti di offerta nelle ore della sofferenza e della morte di Gesù. Per questo, tutto ciò che abbiamo rimesso a Gesù, e ciò che ancora rimetteremo a lui affinché lo prenda e se ne faccia carico, Gesù lo aveva già assunto su di sé (Is 53,4-5). Quando durante la Messa offriamo il suo sacrificio al Padre, dobbiamo essere consapevoli che tale offerta avviene al di fuori dei limiti temporali.
Il Padre celeste si aspetta che gli offriamo il sacrificio di suo Figlio, accettando in tal modo la sua redenzione e trasmettendola ad altri e Gesù desidera che accogliamo il suo amore e otteniamo il maggior numero di beni spirituali e materiali per noi e per gli altri, e vuole che durante l'Eucaristia l'amore che lui ha profuso dalla croce venga da noi ricambiato. Egli desidera che la nostra sofferenza si unisca alla sua sofferenza e in tal modo completiamo ciò che manca al suo sacrificio. E l'unica cosa che manca al suo perfetto sacrificio è la nostra partecipazione ad esso, feconda e attiva, e la sua trasmissione ad altri (Col 1,24). Questo è lo scopo di ogni Messa!
E se non ho fede? La soluzione c’è
Per quale motivo oggigiorno assistiamo a tanta scarsità di frutti concreti della Messa, ossia beni spirituali e temporali? I motivi sono molteplici, e la Chiesa ritiene che il principale risieda nella preparazione inadeguata alla celebrazione.
Una delle ragioni più frequenti per cui non desideriamo impiegare abbastanza cura e tempo alla preparazione della Santa Messa è la mancata comprensione del processo di maturazione della fede. Molti laici, persino sacerdoti, ammettono sinceramente di non credere né sperare che con la partecipazione alla Messa possano ricevere alcun beneficio. Probabilmente nessuno ha mai condiviso con loro la propria esperienza, nessuno ha 'seminato' in loro la propria fede.
Credo che possiamo fare una differenza tra la fede della ragione e la fede del cuore. Prendiamo in considerazione solo un esempio. Pochi di noi dubitano della ragione, ovvero scartano volentieri la rivelazione della Bibbia, secondo cui Dio è nostro Padre, Colui che ci ha creati con amore e che desidera occuparsi di noi in tutto. Pochi sono coloro che credono a tale verità con il proprio cuore, o, per dirla meglio, che hanno una viva esperienza dell'amore del Padre. Raramente si incontrano fedeli che per le loro necessità si avvicinano a Dio, padre amorevole, con vera fiducia e certezza di essere esauditi, e godono davvero della sua presenza.
Nell'apprestarmi a scrivere questo libro, ho letto un numero considerevole di testi (libri e articoli) sul sacrificio eucaristico e ho compreso che quasi tutti gli autori si richiamano al capitolo 53 del Libro del profeta Isaia, che si riferisce al sacrificio redentore di Gesù, dell'uomo dei dolori. Sebbene Isaia, elencando tutto ciò che Gesù avrebbe fatto per noi (versetti 4-5), cominci e termini con le malattie, e menzioni dolore, peccato e iniquità, i vari autori trattano generalmente solo il tema dei peccati. Ugualmente, fanno riferimento alla Pesach, ma non dicono che il frutto della Pesach fu la guarigione di tutti gli Ebrei malati. In quella notte, secondo il resoconto biblico, avvenne la più massiccia guarigione di massa nella storia dell'umanità (Sal 105,37).
Molti sacerdoti non hanno nemmeno mai tentato di officiare la Santa Messa al malato grave secondo il formulario della Messa per i malati, o la Messa per chi è in pericolo di morte secondo il formulario della Messa per i moribondi, solamente perché non sperano che Dio faccia realmente qualcosa di concreto. Se solo nutrissero la speranza, lo farebbero sicuramente. La scusa più comunemente adottata è che ogni Santa Messa ha come obiettivo la redenzione, che Dio può fare tutto attraverso ogni Messa. Qui, però, sono nel giusto fino a un certo punto. Dio si offre completamente a noi in ciascuna Messa. Se crediamo con il cuore, Dio agirà ugualmente anche nella celebrazione che non viene officiata secondo un formulario specifico. Il formulario particolare ci viene dato solamente per aiutarci a credere più agevolmente, aprirci con maggiore semplicità, disporre meglio il nostro cuore alla Parola e accettare più facilmente la grazia della redenzione. Per questo le Messe che vengono officiate secondo un particolare formulario hanno specificamente senso.
Se almeno con la ragione accettassimo il fatto che celebrando il mistero della Messa partecipiamo realmente alla redenzione di Gesù, questo sarebbe già un motivo sufficiente per offrire l'intenzione della Messa con uno spirito in attesa. Le parole sante, i gesti, i segni e i simboli del rito liturgico ci conducono in un'ampia varietà di relazioni personali e comunitarie con Dio. La fede del cuore giunge come un dono di Dio, dalla relazione con lui, quale risposta alla nostra aspettativa del misericordioso esaudimento. Capita di non ricevere la fede del cuore durante la prima Messa, ma essa è piuttosto il risultato di un processo che ci impegna per più tempo. Tale processo di apertura all'operato divino attraverso l'affidamento alla sua volontà potrebbe essere chiamato aspettativa, che si differenzia dalla semplice attesa. L'aspettativa presume una partecipazione attiva nella quale, nella pace del cuore, siamo rivolti verso il Redentore e ci affidiamo a lui affinché scelga quando la redenzione avverrà e in quale modo. L'aspettativa presuppone che Dio comunque si 'coinvolga' e ci aiuti a farci 'coinvolgere'.
Ricordiamoci dell'esempio dei profeti dell'Antico Testamento che sapevano offrire sacrifici, anche diverse volte, in attesa che Dio rispondesse loro. Pure, ricordiamoci di Elia che pregava perché ci fosse la pioggia e la attendeva quando in cielo non c'era nemmeno la minima traccia di una nuvola. Elia sapeva che le nuvole sarebbero arrivate come risultato della sua preghiera, e sebbene non sapesse quanto a lungo avrebbe dovuto attendere, restava col cuore rivolto a Dio, sapendo che tutto il tempo della preghiera sarebbe stato una benedizione per lui, e non solo il momento in cui sarebbe stato esaudito. Anche noi, come Elia, dovremmo pregare per i nostri bisogni, ripetutamente se occorre, e, dopo la preghiera, 'vedremo il cielo senza nuvole'. Come per Elia, è sufficiente che obbediamo al comandamento di Dio di partecipare alla Messa, che attendiamo, e che nell'attesa di essere esauditi godiamo della sua presenza e accettiamo tutto ciò che avviene, per grazia divina, a livello interiore. Dobbiamo essere consapevoli che la redenzione talvolta non arriverà finché la grazia non ci avrà liberati e guariti dalla fonte dei nostri problemi e non ci avrà preparati a custodire i frutti acquisiti. Per questo non dobbiamo avere fretta, non dobbiamo affannosamente sforzarci per riceverli quanto prima, piuttosto dobbiamo lasciare che la grazia ci prepari innanzitutto a saper trattenere, preservare ciò che riceveremo.
Dunque, la fede del cuore sboccerà durante l'incontro con Dio e non è necessario averla prima della Messa. Basta un primo, piccolo sì per iniziare quel processo che ci porterà alla fede.
La liturgia nel piano di Dio
Dio desiderava che ogni sacrificio fosse composto da una serie di azioni, parole, segni e simboli. Desiderava la liturgia già dal primo sacrificio di Adamo, infatti, avrebbe potuto dire ad Adamo che era sufficiente credere nel sacrificio di Gesù per pentirsi e ricevere la salvezza. Ma Dio non voleva che Adamo credesse solamente, desiderava che partecipasse attivamente al sacrificio. Voleva che l'intero processo, l'intero rito, dalla scelta dell'animale, alla preparazione dell'altare e della vittima sacrificale, così come di tutto ciò che era necessario, conducesse Adamo a pentirsi e confessare il peccato, affinché l’offerta di un animale innocente e lo spargimento del suo sangue lo legassero ancora più intimamente al sacrificio del figlio di Dio, l'Agnello senza macchia, che avrebbe pagato con il sangue del martirio il peccato degli uomini. La liturgia, con il suo flusso rituale, ci permette di legarci più intimamente a Cristo crocifisso e partecipare attivamente al suo sacrificio.
Il peccato originale e la caduta dell'uomo ci accompagnano sin dalla nascita. Nel momento del Battesimo (che Dio desiderava altresì come azione rituale, liturgica) e dell'adesione alla fede, Dio perdona i peccati, soffia il suo Spirito in noi e ci accoglie come suoi figli adottivi. In quel momento siamo salvati, ma continuiamo a vivere in un corpo predisposto al peccato e in un mondo in cui vuole governare il diavolo, che cerca di distaccarci da Dio, imporre il suo dominio e allontanarci dalla via della salvezza.
Nel momento del Battesimo la nostra natura imperfetta, in virtù della caduta, non viene completamente redenta. In una certa misura continuiamo ad essere egoisti ed egocentrici, ci sentiamo più o meno rifiutati da Dio, non lo conosciamo abbastanza e non mostriamo fiducia di figli verso di lui, non siamo abituati a dimorare in lui. Dato che la nostra natura rimane incline al peccato e alle più disparate offerte del mondo, abbiamo il dovere di tendere tutta la nostra vita alla conversione, al cambiamento permanente della nostra natura, aspirare alla crescita nella santità. Questa conversione continua avviene proficuamente quando dimoriamo in Dio, specialmente con la redenzione operata dal sacrificio eucaristico.
Possiamo sperimentare pace, gioia e libertà solamente in quelle aree della vita che sono redente. Pertanto, possiamo notare che con determinati peccati non abbiamo alcun problema, e osserviamo con gioia i comandamenti di Dio, mentre da determinate abitudini peccaminose non riusciamo a liberarci da soli (Rm 7,14-25). Ugualmente, possiamo accorgerci che crediamo con tutto il cuore ad alcune parole di Gesù, ma ad altre crediamo solo con la mente e ad altre ancora non crediamo affatto. Là dove non siamo redenti non possiamo godere della vita divina; là Gesù non è padrone.
Dio desiderava la Chiesa, desiderava la liturgia, desiderava i sacramenti e la Santa Messa così come sono. Voleva che mangiassimo il suo corpo e bevessimo il suo sangue, desiderava che partecipassimo al suo sacrificio in modo attivo e fecondo.
Dio desiderava che avessimo una vita che sbocciasse in noi con l'Eucaristia (Gv 6,50-59).
Nel giorno della Pasqua vennero segnate con il sangue dell'agnello le porte delle case, in modo che lo spirito sterminatore non potesse entrare e uccidere i primogeniti, né tra le persone né tra il bestiame (Es 12,29). Dopo la festività della Pasqua, gli Ebrei, da schiavi che erano, divennero ricchi (Es 12,35-36), tutti gli infermi che mangiarono l'agnello sacrificale guarirono (Sal 105,37) e tornarono in salute per poter camminare verso la terra promessa.
Mangiando il corpo dell'Agnello con la fede del cuore anche noi possiamo guarire nello spirito, nell'anima e nel corpo per continuare a 'camminare' proficuamente verso la 'terra promessa', ossia verso il cielo. Bevendo il suo sangue rinnoviamo ogni volta l'alleanza battesimale mediante la quale Dio ci ha resi suoi figli, grazie alla quale apparteniamo a lui ed Egli si prende cura di noi.
Colui che mangia il corpo di Gesù e beve il suo sangue con la fede del cuore, ha vita in lui. Com'è la vita di cui Gesù parla? Si tratta di una vita nella quale godiamo di un intimo rapporto personale con Dio, che è sorgente alla quale ci abbeveriamo, per questo Gesù esorta chiunque sia assetato a recarsi presso di lui e bere, poiché il suo sangue è vita, nel suo sangue c'è grazia, nel suo sangue è fortemente presente lo Spirito Santo (Sal 36,9; Gv 7,37-39). Gesù ha voluto che nel sacramento dell'Eucaristia fosse visibile il gesto del bere il suo sangue consacrato, affinché tale segno ci evocasse nella mente e nel cuore l’immagine della fonte della vita eterna. In tal modo desiderava predisporre il nostro cuore (il tempio personale dello Spirito Santo) ad essere riempito dallo Spirito (Ef 5,19). Il suo amore può lenire la sete delle nostre anime (CCC 1390).
Noi Cristiani, nuovo popolo di Dio, non sacrifichiamo animali, ma partecipiamo al sacrificio di Gesù in ogni singola celebrazione dell'Eucaristia. In essa, memoriale della morte e resurrezione di nostro Signore, tale evento centrale della salvezza si rende effettivamente presente ed attraverso esso "si compie l'opera della nostra redenzione" (EE 11; LG 3; CCC611).
Nella Santa Messa, Gesù Cristo è sacrificio, sacerdote e altare. Lui si sacrifica, insieme a noi offre al Padre la nostra intenzione ed è l'altare poiché ci troviamo in lui quando viene offerto il sacrificio, e diventiamo una cosa sola con lui quando mangiamo di lui (CCC 1391). Per questo il nostro mangiare il corpo dell'Agnello e bere il suo sangue, rappresenta il culmine del sacrifico eucaristico (CCC 1340 e 1128).
Con il Battesimo siamo diventati sacerdoti, profeti e re affinché potessimo offrire le nostre intenzioni al Padre, nella Santa Messa, con il sacrificio di Gesù e presentare anche i nostri volontari sacrifici per la redenzione e la salvezza dei peccatori (Col 1,24; CCC 783-784, 871, 1141, 1268, 1273, 1322).
In ciascuna Messa possono essere offerte più intenzioni, oltre all'intenzione principale della comunità riunita intorno al sacerdote che presiede. Il numero di intenzioni che presenteremo in ciascuna Messa dipende da quanto e come crediamo all'Eucaristia e da quanto amore abbiamo verso coloro che hanno bisogno della grazia che deriva dalla croce.
Oserei dire che la Messa è liturgicamente concepita affinché tramite l'Eucaristia partecipiamo al sacrificio redentore di Gesù nel modo più attivo e fecondo possibile. Per questo ritengo che coloro che sono responsabili della preparazione e dello svolgimento della Messa dovrebbero prestare maggiore attenzione affinché la comunità tutta possa partecipare nel modo più fruttuoso possibile.
Per una migliore comprensione invito il lettore a leggere e studiare almeno quella parte del Catechismo della Chiesa Cattolicache parla del sacramento dell'Eucaristia (Capitolo 2, articolo 3) e sicuramente l'enciclica sull'Eucaristia Ecclesia de Eucharistia (EE) del Santo Papa Giovanni Paolo II.